Regola trinitaria:CARISMA DELL’ORDINE
Il termine carisma è preso dalla lingua greca (càrisma) e significa dono, grazia. Tutti i cristiani nel battesimo ricevono il dono della grazia santificante. Questo dono del Padre c’è elargito dallo Spirito Santo in virtù del sacrificio del Figlio. Ogni battezzato è essenzialmente trinitario, vale a dire fedele, devoto della SS. Trinità. La teologia trinitaria, accennata appena, ma forse è il caso di dire adombrata, nel V. T.; c’è stata rivelata apertamente nel Vangelo a partire dalla venuta di Cristo sulla terra: il Padre manda lo Spirito Santo a fecondare il grembo di Maria che partorirà il Figlio. Il brano più sintetico, ma teologicamente e più significativamente trinitario, lo troviamo nel primo capitolo del Vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il verbo era Dio. […]. Il Verbo si fece uomo ed abitò in mezzo a noi”. Ma perché il Figlio si è incarnato? ce lo dice ancora Giovanni: “Alcuni però hanno creduto in lui: a questi Dio ha fatto un dono: di diventare figli di Dio.
Questo dono, che ogni uomo riceve dalla Trinità nel battesimo, non deve essere considerato un regalo, una cosa strettamente personale da custodire gelosamente, ma deve essere coltivato, accresciuto e deve trasformarsi a sua volta in dono ai fratelli seguendo la chiamata personale.
La sintesi di tutto l’insegnamento biblico è “Ama Dio con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore e con tutto te stesso, ed il prossimo tuo come te stesso”.
Tutta la teologia cristiana è racchiusa nel gran binomio “Trinità/uomo”, e la sua terminologia è essenzialmente familiare: Padre, Figlio, figli.
Il carisma personale di S. Giovanni de Matha non è un carisma eccezionale, ma è quello d’ogni fedele. Racchiude, tuttavia, delle particolarità straordinarie.
Il motto: “Ordine della santa Trinità e degli schiavi”, che come abbiamo visto, fregia il rosone dell’ex casa trinitaria di S. Tommaso in Formis, durante il corso dei secoli è stato modificato in “Gloria a te, Trinità, e libertà agli schiavi”. S. Giovanni de Matha, quando diede inizio alla sua istituzione religiosa, aveva ben chiaro in mente il concetto del binomio “Trinità/uomo”.
Facendo riferimento ad alcuni capitoli della Regola, vediamo come S. Giovanni trasferisce all’Ordine il concetto del binomio.
L’intestazione di tutta la Regola è “Nel nome della santa ed individua Trinità”. Il primo capitolo recita: “I frati della casa della santa Trinità vivano sotto l’obbedienza del prelato della loro casa, che si chiamerà Ministro, in castità e senza nulla di proprio”. Da questa lettura risulta chiaro che S. Giovanni volle dedicare alla Trinità l’Ordine intero e le singole dimore, come è chiaro anche la terminologia familiare, che egli volle per il suo istituto. Nel terzo capitolo leggiamo: “Tutte le chiese di questo Ordine siano intitolate al nome della santa Trinità e siano di struttura semplice”. Chiunque voglia essere partecipe del carisma di S. Giovanni de Matha, deve immergersi con tutto se stesso in Dio Trinità.
Dalla lettura del secondo capitolo della Regola, che è la più grande particolarità del carisma dell’Ordine, apprendiamo in che modo S. Giovanni amò il prossimo suo come se stesso: “Tutti i beni da qualunque parte provengano lecitamente, li dividano in tre parti uguali; ed in quanto due parti saranno sufficienti, compiano con essi opere di misericordia, provvedendo insieme ed in giusta misura al proprio sostentamento e a quello dei domestici, che per necessità hanno a servizio. La terza parte, invece, sia riservata per la redenzione degli schiavi che sono stati incarcerati dai pagani per la fede di Cristo: pagando un prezzo ragionevole per il loro riscatto oppure per il riscatto di schiavi pagani, perché poi, a prezzo conveniente e con retta intenzione, sia liberato lo schiavo cristiano commutandolo, secondo meriti e stato delle persone, con lo schiavo pagano. Qualora fosse stato offerto del denaro o qualche altra cosa, anche se data per scopo proprio e specifico, un terzo, sempre con il consenso del donatore, sia messo da parte, altrimenti non venga accettata”. In questo capitolo S. Giovanni sancisce un atteggiamento di rigida fiscalità: “tutti i proventi, … tre parti uguali, … prezzo conveniente”, dovuta al fatto che egli voleva evitare che i suoi frati, col passare del tempo, tesaurizzassero a loro favore gli introiti dell’Ordine e trascurassero il fine per il quale venivano dati ed accettati: il riscatto degli schiavi e le opere di misericordia. È anche evidente la sua formazione teologica: mette in risalto la liceità della provenienza dei beni, la retta intenzione nella permuta tra schiavo pagano e cristiano, ma soprattutto nel fatto che essa deve avvenire tramite la commutazione, vale a dire scambio alla pari. S. Giovanni non volle fondare un Ordine di commercianti, ma una famiglia religiosa; i suoi frati dovevano riscattare coloro che erano stati imprigionati per la fede di Cristo, perché era in pericolo la loro dignità, in quanto erano continuamente sollecitati anche con la violenza ad abiurare la loro fede, ma anche i pagani avevano la loro dignità ed anche loro erano sollecitati a rinunciare ai loro principi, per questo S. Giovanni li riscatta a li commuta con i cristiani.
Nel secondo capitolo, che abbiamo appena letto, S. Giovanni de Matha parla di opere di misericordia. Verso chi fossero rivolte queste opere di misericordia lo apprendiamo dal capitolo 36: “Nello stesso giorno in cui arriva o viene portato un infermo, questo si confessi dei suoi peccati e si comunichi”, e nel 38: “Ogni notte, almeno nell’ospizio alla presenza dei poveri, si preghi in comune […]”. Ai poveri ed agli infermi era destinata la seconda parte degli introiti delle case della santa Trinità, dove erano ospitati, curati e nutriti. Ci sono diverse bolle pontificie e documenti notarili che testimoniano che i locali, destinati alla dimora dei frati, e quelli destinati a nosocomio erano nello stesso plesso; d’altronde i mezzi di sostentamento dei religiosi e dei loro ospiti anche se soggetti a divisione non erano scissi, come abbiamo già visto.
La grande innovazione che S. Giovanni de Matha ha fatto in seno alla Chiesa è stata quella d’istituzionalizzare la povertà evangelica (i frati vivano senza nulla di proprio e la struttura semplice nella costruzione delle chiese), mettendola al servizio della carità (la divisione dei in tre parti, per le opere di misericordia e per la redenzione degli schiavi), e questo come risposta ai movimenti scismatici dei “Pauperistici”. La crescita della Chiesa non è basata sulla rivoluzione, che comporta l’abbattimento dell’ordine precostituito, né sull’evoluzione, che richiede una trasformazione radicale e sostanziale, ma sull’innovazione, vale a dire sul mutamento che avviene all’interno. S. Giovanni de Matha per portare la Trinità nelle case degli uomini propose istanze di rinnovamento tenendo presente le antiche esperienze della Chiesa; non pretese o impose, come chiedevano i movimenti pauperistici, il rivoluzionamento dell’ordine costituito.