PRONTUARIO TRINITARIO

 

Questo lavoro serve ad una più facile ed agevole lettura della Regola di S. Giovanni de Matha, che ogni Trinitario dovrebbe conoscere. Oltre ai termini più significativi della Regola, ho preso in considerazione anche i personaggi più rappresentativi, in campo spirituale, storico e narrativo, e i luoghi più importanti dell’Ordine, perché penso che sia importante fare una corretta lettura degli  avvenimenti contemporanei alla nascita dell’Ordine; essi servono a comprendere meglio lo spirito che animò S. Giovanni de Matha nello stilare la Regola.
Per una più approfondita conoscenza della materia trattata in questo lavoro, rimando ai seguenti volumi:

  • L’Ordine della Santa Trinità e degli Schiavi, di Francesco Citriniti, dal quale sono stati presi la maggior parte degli argomenti.
  • Note sulle Origini dell’Ordine della SS. Trinità, di P. Ignazio Marchionni.
  • Cerfroi  di P. Giulio Cipollone.
  • La casa della Santa Trinità di Marsiglia, di P. Giulio Cipollone.
  • Il Mosaico di S. Tommaso in Formis, di P. Giulio Cipollone.

                                                                                                          Francesco Citriniti

 

Alberico.

    Monaco dell’abbazia cistercense delle Tre Fontane, nei pressi di Chalons-sur-Marne, non molto distante da Cervofreddo, tra il 1230 ed il 1240 scrisse il Chronicon nel quale, all’anno 1198, parla, sia pure brevemente, della fondazione dell’Ordine della santa Trinità. L’opera è stata pubblicata in Monumenta Germaniae Historia vol. XXIII e in Rerum Gallicarum Et Francorum Scriptores Tom. XVIII, n.744.
La lettura del brano d’Alberico ci mette al corrente dell’anno dell’approvazione dell’Ordine: 1198, del luogo dove sorse: a Cervofreddo, donato dall’ex crociato Ruggero miracolosamente liberato dalla schiavitù ad Aleppo; e ci porta a fare alcune riflessioni storiche.
La prima riguarda il numero delle “congregazioni” (fino a seicento) trinitarie esistenti al suo tempo, come dice l’autore, che potrebbe sembrare eccessivo; senz’altro egli annoverò nel computo anche le varie Confraternite aggregate all’Ordine. Non si spiegherebbe, altrimenti, la sua asserzione a proposito: “e ce ne sono alcune composte da molte persone”.
La seconda riguarda l’appunto negativo che fa nei confronti dell’Ordine, l’unico e, per di più, tra due elogi: “ma ha molte cose che oltrepassano i limiti”. Alberico era un monaco e certamente non vide di buon occhio la nascita della nuova istituzione religiosa che, con la sua ventata di novità, andava a scombussolare il vecchio ordinamento sociale. Giovanni di Matha non solo parlò di povertà, ma la mise e la fece mettere in pratica dai suoi frati, in modo costruttivo ed inderogabile, con la divisione in tre parti di tutti i beni della sua famiglia religiosa. Ciò non dovette essere gradito a molti di coloro che dimoravano nei ricchi e potenti monasteri. Alberico non dice quali fossero le cose che, a parer suo, oltrepassavano i limiti.
La terza, e più importante, scaturisce dal suo ultimo capoverso. Alberico mette in risalto che l’Ordine, fondato da Giovanni di Matha, è stato il primo che si è ispirato all’umiltà ed alla povertà.

Angelo (Apparizione del).

  Fino a qualche decennio fa, la letteratura e l’iconografia dell’Ordine, relative alll’apparizione divina che ne ispirò la fondazione, ci presentavano, come soggetto principale, un angelo al posto di Cristo; nonostante che il mosaico di S. Tommaso in Formis, raffigurante Cristo, è stato sempre ben visibile al suo posto sin dal 1210.
Per spiegare la preferenza dell’angelo al Cristo, formulo tre ipotesi:

  1. Il falso storico: qualche artista dei primordi dell’Ordine s’inventò la visione angelica.
  2. Un atto d’umiltà di coloro che commissionavano le opere pittoriche o che scrivevano sull’argomento, i quali ritenevano troppo impegnativo, se non addirittura atto di profanazione nei confronti Cristo, tirare in causa la sua immagine;
  3. Le apparizioni divine furono due, con soggetti diversi: Cristo e l’angelo.

     La prima ipotesi è da scartare: quando si vuole falsificare qualcosa, si fa in meglio non in peggio.
La seconda non avrebbe senso: l’immagine di Cristo, come soggetto dell’apparizione, era, come si è detto, ben visibile sul portale di S. Tommaso in Formis.
Non rimane che prendere in considerazione la terza ipotesi.
È fuori dubbio che a S. Giovanni de Matha, durante la sua prima messa, apparve Cristo. Per quanto riguarda l’apparizione dell’angelo, l’argomento diventa più complesso ed intricato. Il Racconto Anonimo parla di una visione avuta da Innocenzo III “come quella” di Giovanni; non la stessa, quindi, ma simile: un angelo? La Sequenza parla chiaramente dell’apparizione dell’angelo al papa, e solo a lui; ma non parla della visione avuta da fra Giovanni. Roberto Gaguin, nella sua narrazione del 1492, non parla dell’apparizione personale a Giovanni, ma accenna ad una triplice visione celeste avuta da Giovanni e da Felice, mentre riposavano, e si dilunga sull’apparizione personale dell’angelo ad Innocenzo III. Nella narrazione del 1497, Gaguin parla di una generica visione, avuta dai due fondatori: un angelo li esorta a recarsi a Roma; di una prima visione, “simile” a quella dei fondatori, avuta da Innocenzo III; ed infine descrive, sia pura in modo più breve, una seconda apparizione dell’angelo al papa. Da Roberto Gaguin, inoltre, abbiamo altre notizie che ci aiutano a dirimere la questione. Nella prima narrazione dice: “È tuttora visibile, in alto, sul muro principale del convento, un antico dipinto che, a chi osserva, testimonia la visione suddetta, che il Pontefice ha avuto”. Nella seconda, invece, afferma: “L’immagine di ciò (l’apparizione dell’angelo ad Innocenzo III) è visibile a Roma, sul Monte Celio, presso S. Tommaso in Formis, dove Innocenzo costruì una chiesa alla divina Trinità”. Secondo Gaguin, quindi, in S. Tommaso in Formis c’erano due raffigurazioni dell’apparizione. In quella citata nel documento del 1492 c’è un errore: sul portale c’è il mosaico con il Cristo. Quella citata nel brano del 1497, collocata presso S. Tommaso in Formis (inteso come complesso architettonico, non già come chiesa), rappresenta una novità.
Bourgeois colloca la raffigurazione della visione non sul frontale del portone del complesso di S. Tommaso in Formis, ma in una chiesa situata all’interno della costruzione; ci fa sapere anche, a proposito dell’epitaffio sulla tomba di fra Giovanni, che nell’ambito della casa trinitaria del Celio c’erano due chiese: una piccola, dove c’era il sepolcro, ed una grande “completamente scoperchiata e semi distrutta”.
Ancora Roberto Gaguin, nel suo libro Cronaca Dei Ministri Generali dell’Ordine, parlando di fra Tommaso Loquet, che ricoprì quella carica dal 1337 al 1357, ci riferisce che: “Egli collocò sull’altare maggiore di Cervofreddo dei dipinti su legno, ritraenti la Rivelazione dell’Ordine, già oscurate dall’antichità”. Per permettere alla polvere ed al fumo delle candele di annerire un quadro, tanto da farlo apparire antico, occorrono almeno una cinquantina d’anni; quindi bisogna datare la fattura dei quadri di Cervofreddo almeno agli anni ottanta o novanta del XIII secolo.
Il soggetto di uno di questi quadri ce lo fa conoscere un testimone del processo per la canonizzazione di S. Giovanni e di S. Felice, avvenuto nel 1666: fra Girolamo del Santissimo Sacramento, il quale disse d’aver visto nella chiesa della località denominata Cervofreddo “Un dipinto antichissimo nel quale è dipinta l’istituzione di detta Religione (Ordine) con l’apparizione angelica, […] si ritiene da tutti che detto dipinto fu fatto 400 anni prima o circa”. Anche su questo quadro, quindi, è raffigurato l’angelo.
Il quadro di Cervofreddo e il dipinto della chiesa in S. Tommaso in Formis, quindi, sono contemporanei e vanno fatti risalire al periodo presunto della Sequenza, la quale parla della sola visione dell’angelo ad Innocenzo III.
I primi frati trinitari, a differenza di quelli d’altri ordini religiosi, erano troppo impegnati nelle loro attività caritative per potersi dedicare alla stesura della storia dell’Ordine, alla perfetta manutenzione ed alla consultazione dei loro archivi. Quando qualcuno di quei religiosi scriveva o commissionava qualche opera inerente all’istituzione, lo faceva attingendo, prevalentemente, dalla tradizione orale. La tradizione, però, col passare del tempo può subire qualche variazione, ma sostanzialmente rimane vera, specialmente se si rifà, come nel caso dei primi frati trinitari, a coloro che gli avvenimenti li avevano vissuti in prima persona.
Nella seconda metà del XIII secolo si era, ormai, attuato il cambio generazionale tra i religiosi che avevano vissuto in prima persona la nascita dell’Ordine e quelli del periodo successivo.
Costoro incominciarono ad avvertire la necessità di testimoniare gli avvenimenti della nascita della loro istituzione; il mosaico di S. Tommaso in Formis, però, era troppo distante da Cervofreddo, che, dopo il 1217, con la morte di Giovanni l’Inglese, aveva soppiantato la casa di Roma in qualità di sede generalizia, e quindi come centro direzionale e decisionale dell’Ordine; ed il Racconto giaceva, con ogni probabilità, dimenticato in qualche biblioteca. Mentre, però, conosciamo il soggetto raffigurato nel dipinto di Cervofreddo, nulla sappiamo di quello di S. Tommaso. Stando alle testimonianze a noi giunte (Gaguin e Bourgeois), dovrebbe riguardare la visione d’Innocenzo III.
Da quanto detto, penso si possa arrivare alla conclusione che, pur non entrando nel merito della visione d’Innocenzo III e dei due fondatori, la tradizione dell’apparizione dell’angelo risale agli albori dell’Ordine, e come tale va rispettata e accettata.
Solo agli inizi del XX secolo, con le ricerche e gli scritti di P. Antonino dell’Assunta e di P. Angelo Romano, entrambi religiosi trinitari; ma soprattutto con gli studi più recenti di P. Ignazio Marchionni e P. Giulio Cipollone e le iconografie commissionate da P. Michele Nardone, anch’essi trinitari, il binomio Cristo/S. Giovanni ha avuto la sua giusta collocazione nella storiografia e nell’arte dell’Ordine della SS. Trinità.
L’angelo, come soggetto delle apparizioni, non è, quindi, da considerarsi un falso storico dovuto alla contraffazione, alla manipolazione di documenti e tanto meno alla loro dolosa invenzione.

Bolla (pontificia).

   Il termine prende il nome dalla parola latina “bulla”, che significa sigillo, che s’imprimeva sulla ceralacca calda per sigillare i plichi, e stava ad indicare l’autenticità d’un documento pubblico. A causa della carenza dei documenti storici dei primordi dell’Ordine, recentemente se n’è potuta documentare l’origine con la scoperta e lo studio di molti documenti notarili, quali sono anche le Bolle. Le Bolle pontificie prendono il nome dalle loro prime parole. Le Bolle si chiamano concistoriali quando, oltre che dalla firma del papa, sono siglate da cardinali. Le più importanti, per noi Trinitari, sono: la “Cum a nobis petitur” d’Innocenzo III del 16 maggio 1198, con la quale il pontefice prende sotto la sua protezione l’Ordine e le prime tre case; la “Operante divine dispositionis” dello stesso pontefice del 17 dicembre 1198, con la quale il papa approva l’Ordine; essa contiene il testo della Regola. Noi ne conosciamo la copia degli archivi del Vaticano, l’originale, di proprietà dell’Ordine, è stata smarrita. Onorio III, successore d’Innocenzo, il 9 febbraio 1217 scrisse una Bolla, omonima e dello stesso tenore di quella del predecessore, per confermare la Regola a Giovanni l’Inglese, successore di S: Giovanni de Matha alla guida dell’Ordine.

Borgo Regina (casa della santa Trinità di). 

     È stata la terza casa dell’Ordine e la prima in Parigi; è stata donata da Maria Paneteira a S. Giovanni de Matha. Figura nell’elenco contenuto nella Bolla del 16 maggio 1198.

Bourgeois (fra Giacomo).

 Ministro Provinciale dell’Ordine della SS. Trinita, nel 1586, scrisse una narrazione “Istituzione o Fondazione dell’Ordine dei frati della SS. Trinità per la redenzione degli schiavi. Secondo le antiche cronache di D. Roberto Gaguin, Ministro Generale dello steso Ordine, e altri documenti raccolti da fra Giacomo Bourgeois, Ministro Provinciale” che fu stampata nella sua opra “Regula Et Statuta Fratrum Ordinis SS. Trinitatis” (Duaci 1586 pp. 1-5.).
Le notizie più rilevanti, che ci dà Bourgeois, sono: la visione “reale”, non in sogno, di Giovanni de Matha, dove però figura l’angelo, non Cristo, le tre apparizioni angeliche, ma in sogno, ai due fondatori; il doppio nome della chiesa del Celio: S. Tommaso e S. Michele; il numero delle chiese: due, una piccola e l’altra più grande, esistenti nell’ambito della casa di S. Tommaso in Formis; c’informa anche che l’anacoreta Felice era originario della regione del Valois.

Capitolo. 

È la riunione che i religiosi fanno per prendere le decisioni più importanti della loro vita in comune. Nella Regola Trinitaria sono previsti due tipi di capitoli: quello generale da tenersi ogni anno nell’ottava di Pentecoste (cap. 24); e quello conventuale da tenersi, possibilmente, ogni domenica nelle singole case, in esso “ i frati al Ministro e il Ministro ai frati rendano fedelmente conto degli affari della casa e delle cose date alla casa ed ai frati” (cap. 20).
Con il capitolo, S. Giovanni volle una gestione dei movimenti economici delle sue case altamente democratica e trasparente, perché di essi, anche quelli concernenti le più piccole cose specialmente se riguardano la parte destinata alla redenzione degli schiavi “se è possibile, se ne deliberi in capitolo ogni domenica” (cap 2); non solo, ma “Se per necessità della casa si dovesse contrarre qualche debito, questo sia prima proposto ai frati in capitolo, e sia fatto con il loro consenso, per evitare così sospetti e mormorazioni” (cap. 25). Il sospetto è da sempre il più grave ed immediato pericolo della democrazia.

Carisma (di S. Giovanni de Matha e dell’Ordine).

 Il termine carisma è preso dalla lingua greca (càrisma) e significa dono, grazia. Tutti i cristiani nel battesimo ricevono il dono della grazia santificante. Questo dono del Padre c’è elargito dallo Spirito Santo in virtù del sacrificio del Figlio. Tutto l’insegnamento biblico è compendiato, come dice il Vangelo, nei due comandamenti “Ama Dio con tutta la tua mente, con tutto il tuo cuore e con tutto te stesso, ed il prossimo tuo come te stesso”. Tutta la teologia cristiana è racchiusa nel gran binomio Trinità/uomo, e la sua terminologia è essenzialmente familiare: Padre, Figlio, figli.
Il carisma personale di S. Giovanni de Matha non è un carisma eccezionale, ma è quello d’ogni fedele. Racchiude, tuttavia, delle particolarità straordinarie. Il motto: “Ordine della santa Trinità e degli schiavi”, fregia il rosone dell’ex casa trinitaria di S. Tommaso in Formis, durante il corso dei secoli è stato modificato in “Gloria a te, Trinità, ed agli schiavi libertà”. S. Giovanni de Matha, quando diede inizio alla sua istituzione religiosa, aveva ben chiaro in mente il concetto del binomio Trinità/uomo.
La grande innovazione che S. Giovanni de Matha ha fatto, in seno alla Chiesa, è stata quella d’istituzionalizzare la povertà evangelica (i frati vivano senza nulla di proprio e la struttura semplice nella costruzione delle chiese), mettendola al servizio della carità (la divisione dei in tre parti, per le opere di misericordia e per la redenzione degli schiavi. La crescita della Chiesa non è basata sulla rivoluzione, che comporta l’abbattimento dell’ordine precostituito, né sull’evoluzione, che richiede una trasformazione radicale e sostanziale, ma sull’innovazione, vale a dire sul mutamento che avviene all’interno. S. Giovanni de Matha per portare la Trinità nelle case degli uomini propose il rinnovamento tenendo presente le antiche esperienze della Chiesa; non pretese o impose, come chiedevano i movimenti pauperistici, il rivoluzionamento dell’ordine costituito. 

Carità.

  Il termine è usato due volte nella Regola: nel capitolo 15 (Tale sia la carità tra i frati chierici e laici, che abbiano lo stesso cibo, vestito, dormitorio, refettorio e la stessa mensa), e nel 17 (La cura degli ospiti, dei poveri e di tutti i viandanti sia affidata a un frate tra i più prudenti e benevoli, il quale li ascolti e, se sarà il caso, dia loro il conforto della carità). Nel primo caso la carità ha una duplice paritetica valenza: evangelica (ama il prossimo tuo come te stesso), e sociale (tutti gli uomini sono uguali, a prescindere dalla carica che occupano, che non deve comportare nessun privilegio). Nel secondo caso, alle prime due forme di valenza, si aggiunge anche quella umana: le prime necessità di chi soffre sono il bisogno d’essere ascoltato, per essere capito, ed il conforto.

Casa (della santa Trinità).

  È il nome che volle S. Giovanni de Matha per il suo Ordine (I frati della casa della santa Trinità (cap. 1), e per tutti i conventi (I frati di una medesima casa possono essere tra chierici e tre laici, e inoltre uno che sia il procuratore il quale […] non sia chiamato Ministro, ma fra A. Ministro della casa della santa Trinità (cap. 4). Come si può notare dalla lettura dei due capitoli qui citati, S. Giovanni de Matha volle dedicare al nome della Trinità tutte le case del suo Ordine. Nel capitolo 3 sancisce che anche le chiese dell’Ordine devono essere dedicate alla Trinità, e devono essere di struttura semplice, per dedicare agli schiavi ed ai bisognosi più risorse economiche possibili.

Cervofreddo (casa della santa Trinità di). 

È stata la culla dell’Ordine. La località è situata a circa 80 Km a nord di Parigi. Un ex crociato, ed ex schiavo riscattato, ma non dai Trinitari, ad Aleppo, di nome Ruggero, un feudatario della contessa Margherita di Borgogna, aveva permesso a S. Felice di Valois e ad altri tre anacoreti di porvi la loro base operativa. In un secondo tempo fu definitivamente donata, dalla contessa medesima, a S. Giovanni de Matha e ai frati della casa della santa Trinità e degli schiavi. Vi è stato sepolto S. felice di Valois, e per secoli è stata la casa madre dell’Ordine, dove si svolgevano i capitoli generali. Dopo la Rivoluzione Francese, i Trinitari ne persero la proprietà. Da qualche decennio ne sono tornati in possesso, prima con le suore di Valence ed in un secondo tempo anche con i frati.

Commutazione

È un termine giuridico che indica il cambio alla pari. È usato nella Regola Trinitaria nel capitolo 2 a proposito dello scambio tra schiavi cristiani e pagani. Le redenzioni operate dai Trinitari non erano semplici operazioni commerciali, ma erano mirate a salvaguardare, oltre alla libertà degli schiavi, la loro dignità personale, presente non solo nei cristiani, ma in tutti gli uomini, a prescindere dalla loro razza, cultura e religione. I Trinitari, pur essendo nati per redimere gli schiavi cristiani, non tralasciavano di riscattare anche quelli d’altre fedi e lo facevano senza secondi fini, ma “con retta intenzione” (cap. 2), non li liberavano per convertirli, ma per rimandarli nella loro terra e presso la loro gente, per salvaguardare anche la loro dignità.

Converso

  Il termine indica una persona che si converte, vale a dire che cambia moralmente sistema di vita. La Regola Trinitaria prevede il servizio di queste persone nella cura degli ammalati degenti nelle case della santa Trinità (cap. 16). Queste persone potevano essere chierici e laici, che non erano però religiosi.

De Planels (casa di).

  È la seconda casa di proprietà dell’Ordine, fu donata, con tutti i suoi possedimenti, dai coniugi De Planels a S. Giovanni de Matha affinché potesse realizzare gli scopi del suo istituto. Non si conosce la data esatta della donazione, fa parte dell’elenco contenuto nella bolla del 16 maggio 1198.

Domestici.

  Erano, nell’ambito delle case della santa Trinità e degli schiavi, coloro che prestavano il loro servizio per sopperire alle necessità più comuni e generiche per il buon andamento delle medesime. Neanche loro, come i conversi, erano religiosi.

Eccleston (fra Tommaso da).

 Religioso dei Frati Minori. Tra il 1263 ed il 1274 scrisse De Adventu Fratrum Minorum In Angliam. (Mon. erm. Historica, tom. XXVIII, ed. 1878, pag. 568). In quest’opera riserva il seguente brevissimo, ma importante brano, ai frati Trinitari: “I Francescani approdarono in Inghilterra nel 1224. Invece i Frati dell’Ordine della Trinità, fondati per ispirazione divina sotto Innocenzo III da Giovanni, maestro di teologia, al quale, mentre celebrava la messa alla presenza del vescovo e del clero parigino, apparve Gesù Cristo, arrivarono in Inghilterra molto tempo prima”.
L’autore in modo conciso e perentorio ci tramanda la visione di Cristo, che fu l’ispiratore dell’Ordine della santa Trinità e degli schiavi.

Famiglia (della casa).

  Il termine è usato nella Regola Trinitaria nel capitolo 21, nel quale si consiglia il Ministro d’esortare, ogni domenica, non solo i frati, ma anche tutti coloro che prestavano servizio nella casa della santa Trinità, su come dovevano comportarsi sia operativamente sia spiritualmente. Il capitolo 21 ci fa conoscere com’erano composte le case della santa Trinità: il Ministro, i frati chierici e laici, i domestici ed i conversi. Costoro erano tutti al servizio dei bisognosi: gli infermi (cap. 16), gli ospiti, i poveri ed i viandanti (cap. 17); che usufruivano di due terzi di tutte le entrate dell’Ordine, la terza era destinata al riscatto degli schiavi (cap. 2). Il capitolo 21 fa anche capire perché, nonostante la gran mole di lavoro che si svolgeva nelle dette case, S. Giovanni de Matha volle che esse fossero composte da un ristretto numero di religiosi: tre chierici e tre laici oltre al Ministro (cap. 4). Le case dei Trinitari erano operativamente aperte anche ai laici.

Fondatori.

  Nei documenti ufficiali, finora conosciuti, sulle origini dell’Ordine, S. Giovanni de Matha è sempre chiamato “istitutore”, ossia iniziatore dell’Ordine, mai fondatore. Raniero, vescovo di Marsiglia, in un documento dell’ottobre 1210, lo chiama istitutore dell’Ordine e fondatore della casa della sua città. Gaguin nel racconto del 1492 dice che Giovanni, quando si recò a Cervofreddo, “trovato colui che cercava”, lo salutò religiosamente. S. Giovanni non si trovò per caso a Cervofreddo, ma vi si recò di proposito per cercare una determinata persona; e qui in tre anni scrisse la Regola. Tutto ciò conferma la plurisecolare tradizione dell’Ordine che vuole S. Giovanni il fondatore principale dell’Ordine e S. Felice di Valois il confondatore.

Fondazione (dell’Ordine).

  Dalle Bolle e dagli altri documenti, finora conosciuti, che parlano dei primordi dell’Ordine non c’è dato di sapere in che anno esso abbia effettivamente avuto inizio. La prima testimonianza storica, a riguardo, risale al 1314, la troviamo negli “Annales Halesbrunnenses” dove si legge. “Nell’anno 1194 ebbe inizio l’Ordine della Trinità”.

Frati (della casa della Santa Trinità).

 Sono persone che si vincolano alla vita religiosa con il voto d’obbedienza e di castità, vivendo senza nulla di proprio (cap. 1); devono tutti avere un incarico (cap. 18), devono digiunare, quando non ne sono impediti e devono pregare, (capitoli vari). Si dividono in due categorie, chierici e laici; tale divisione non comporta privilegi personali (15), nemmeno per il Ministro, che deve provvedere agli altri frati come a se stesso (cap. 5) ed osservare tutti i precetti della Regola (cap. 29), ma solo diversità di cariche: solo i chierici possono essere ministri, e a loro compete ascoltare la confessione dei religiosi e riprendere coloro che recano offese ai confratelli.

Gaguin (fra Roberto, 1433-1501).

  È stato il 23° ministro generale Dell’Ordine dal 1497 al 1501, anno della sua morte; nel 1492 scrisse il trattato Istituzione o Fondazione dell’Ordine della SS. Trinità, che fu l’introduzione del Breviarium dei Frati dell’Ordine della SS. Trinità edito a Valenza nel 1592. In queste poche pagine, scritte per richiesta di fra Andrea da Sedan, Gaguin ci dà alcune conferme che servono a dissipare alcuni dubbi storici, ed altre che ci fanno capire meglio il comportamento di Giovanni di Matha.
I fondatori dell’Ordine furono due: Giovanni e l’eremita Felice.
S. Giovanni de Matha si recò a Cervofreddo non per caso, ma perché era alla ricerca di una persona specifica.
I fondatori avvertirono subito l’esigenza di sottoporre la loro istituzione all’autorità del papa, sia perché egli era il capo riconosciuto della Chiesa, sia per avere lumi e protezione da lui.
Ci sono, però, due gravi errori: l’immagine del portale di S. Tommaso in Formis non è un dipinto, ma un mosaico; e raffigura Cristo e non l’angelo.
Nel 1497 scrisse una breve narrazione dal titolo Rivelazione e Istituzione dell’Ordine della Santa Trinita, che inserì nella sua opera Annali Delle Gesta Dei Franchi.
Gaguin in questa seconda narrazione apporta due variazioni, rispetto alla precedente: chiama Felice anacoreta, non eremita; e colloca il simulacro della visione d’Innocenzo III non sul portale di S. Tommaso in Formis, ma in un luogo posto nell’ambito del complesso architettonico della casa trinitaria sul Celio. Forse presso la chiesa dedicata alla Trinita; della quale, però, non si hanno altre notizie, almeno circa il nome, se non in Bourgeois.

Gesù Nazareno. 

        Nel 1681 a fortezza militare La Marmora, nel Marocco del nord, occupata da un reggimento spagnolo, venne presa d’assalto ed occupata dai Berberi. I sopravvissuti furono fatti prigionieri e condotti a Méquinèz, per essere venduti come schiavi.
In quella stessa fortezza, c’erano anche sedici statue religiose scolpite nel legno. Tra esse, se ne distingueva una per la sua grand’espressività e la sua bellezza.
Ordinariamente, i musulmani bruciavano le statue religiose dopo averle profanate, perché le consideravano come oggetti d’idolatria. In quella circostanza, invece, essi decisero di non distruggerle, ma di venderle a peso d’oro, data la loro bellezza eccezionale.
I frati trinitari, avendo appreso la grave disgrazia che aveva colpito La Marmora, non tardarono ad organizzare una spedizione di redenzione. Infatti, nell’anno seguente (1682) il successo coronò i loro sforzi, ed essi poterono rientrare in Spagna con duecento schiavi e le sedici statue che erano riusciti a riscattare.
Ogni volta che spedizioni di questo genere tornavano in Europa, si organizzavano processioni, accompagnate da preghiere e canti, per ringraziare la SS. Trinità. Quest’ultima processione ebbe luogo a Madrid, e riuscì anche più solenne sia per il numero degli schiavi riscattati che per le statue miracolosamente salvate dalla profanazione. Una gran folla, come anche numerose autorità religiose e civili, partecipò a quella manifestazione di fede: una fede così intensa, che al suo passaggio, si operarono numerose conversioni e guarigioni.
In occasioni di tali processioni, i Trinitari avevano l’abitudine di mettere al collo d’ogni schiavo riscattato il segno distintivo dell’Ordine: lo scapolare bianco con sopra la croce rossa ed azzurra. Quella volta, tra la gioia immensa di tutta la folla, i Padri apposero su ogni statua il prezioso scapolare. Alla fine della processione, i responsabili distribuirono a varie chiese le statue, ad eccezione di quella di Gesù Nazareno, che fu posta, con grande onore, nella chiesa dei Trinitari di Madrid, per la venerazione dei fedeli. E così la devozione a Gesù Nazareno fu estesa alla chiesa universale. (Per concessione del Centro Gesù Nazareno, via del Quirinale, 23/A Roma).

Gononio. 

   Monaco celestino, nel 1625 scrisse l’opera: Vita e Sentenze dei Padri dell’Occidente (Lugduno 1625 pag. 371 e seguenti). In essa è inserito il capitolo della vita dei beati eremiti Giovanni e Felice fondatori dell’Ordine della Santissima Trinità, attingendo ad antichi documenti di quell’Ordine.
Gonomio ci dà alcune conferme, a volte ampliandole, anche circa le notizie già avute da Gaguin e da Buorgeois, la più importante è che i due scrittori che lo precedettero non inventarono le loro narrazioni, ma, per scriverle, consultarono documenti.
Ma ci dà anche notizie nuove. Gualtiero di Castiglione, comandante delle truppe del re Filippo Augusto in Gallia donò loro una villa per abitarvi; ma, vedendo che con il passare del tempo, la loro abitazione non poteva contenere il numero sempre crescente dei frati, diede loro un altro luogo più spazioso, chiamato Cervo freddo.  Poiché in quel tempo i principi cristiani, ed in primo luogo il re dei Franchi, combattevano i nemici della fede, sia in Palestina, sia nei dintorni di Gerusalemme, S. Giovanni de Matha delegava i frati affinché servissero nella spedizione militare dei cristiani, curando i feriti oppure riscattando i prigionieri dal nemico: per questo l’Ordine si diffuse in molti luoghi. Ci fa conoscere anche che il testo completo dell’epitaffio della tomba di S. Giovanni de Matha è “collocato nella parte destra della chiesa minore del monte Celio; la maggiore è scoperta e semi distrutta”.

Individua (Trinità). 

      Usando questo termine (prologo), S. Giovanni de Matha ha espresso un concetto teologico trinitario ed ha caratterizzato il fine dell’Ordine. Le tre Persone Divine non sono insieme per formare una società per azioni o un club, la loro relazione è essenzialmente all’insegna dell’unità nella diversità: una sola sostanza e tre persone. Nella casa della santa Trinità, composta dal Ministro, dai frati chierici e laici e dagli altri coadiutori, ognuno ha le sue mansioni, ma tutti insieme formano una vera famiglia: vivono con un terzo delle entrate, impegnati nelle opere di misericordia.

Infermo.

     Il termine, nella Regola Trinitaria, è usato tre volte: nei capitoli 13, 16 e 36. S. Giovanni de Matha che, per ripristinare in seno alla Chiesa lo spirito della povertà evangelica, ha ordinato il digiuno e l’astinenza (privazione di cibi costosi e sofisticati), eccettuato nelle grandi solennità, ai suoi religiosi, usa un occhio di riguardo per le categorie più deboli: gli ammalati e i deboli, sia religiosi sia ospiti, ed i poveri, costretti quotidianamente al digiuno ed all’astinenza dalle contingenze sociali ed economiche (cap. 13); non solo, ma per gli ammalati riserva la delicatezza di farli mangiare e dormire da parte, per salvaguardare la loro dignità, e mette al loro servizio una persona particolare: un converso laico o chierico, non un frate; per farli sentire più a loro agio, il religioso incute un più forte senso di rispetto, e loro si sarebbero sentiti meno liberi d’esprimere le loro necessità (cap. 16). Ai religiosi chierici è riservato il compito d’offrire il conforto cristiano con l’amministrazione dei sacramenti della confessione e della comunione, al momento del loro ingresso nell’ospizio trinitario (cap. 36).

Laico. 

      Il termine ha tre accezioni:
* come distinzione dal termine “chierico” e configura una persona che fa parte a pieno diritto di un’istituzione religiosa, ma non è sacerdote.
*come distinzione dal termine “consacrato” e configura una persona che pur non avendo emesso i voti religiosi, vive in maniera impegnata la sua chiamata nella Chiesa seguendo il carisma di qualche istituzione religiosa.
* come contrapposizione al termine “fedele” e configura una persona che si oppone apertamente ad ogni concetto religioso. La definizione più cruda di questa categoria di persone è “anticlericale”.
La Regola Trinitaria fa riferimento alle prime due accezioni.

Lecitamente

Quest’avverbio, degno d’attenzione, è compreso nella prima parte del capitolo 2 della Regola Trinitaria: “Tutti i beni da qualunque parte provengano lecitamente, li dividano in tre parti uguali”. La povertà dell’Ordine trinitario deve essere veramente povertà “di spirito”, come dice il Vangelo, i frati della casa della Trinità non devono ricorrere all’accaparramento, sia pure in nome di qualcosa di sublime, come può essere la solidarietà; tutte le loro entrate devono avere un’inequivocabile matrice d’onestà. Questo messaggio di S. Giovanni è di un’attualità sorprendente, e non soltanto per le persone consacrate ma per tutti gli uomini. In questo brano S. Giovanni esprime tutta la rettitudine mentale e spirituale, che devono avere coloro che sono chiamati a gestire la cosa pubblica ed i beni comuni.

Madre del Buon Rimedio.

  I grandi santi, specie quelli che intrapresero missioni importanti, erano a conoscenza dell’influenza che la Madonna ha presso Dio e su suo Figlio; per questo si affidarono alla sua intercessione.
Giovanni de Matha, che era anche un gran teologo, sapeva ciò e sperimentò per ben due volte il premuroso intervento di Maria.
Il pericolo più grande che correvano i frati redentori di schiavi, disarmati e privi di scorta in  territorio nemico, era quello di cadere nelle mani dei pirati sia prima che dopo il riscatto. Quando  accadeva, venivano depredati dei soldi e vedevano ricadere in stato di schiavitù coloro che avevano appena redento.
La tradizione ci ha tramandato che ciò accadde due volte anche a S. Giovanni, una volta nei  pressi di Tunisi ed una nei paraggi di Valenza, allora sotto il dominio islamico. In entrambi i casi Giovanni, fiducioso in Maria, l’invocò con l’appellativo di: “Madre del Buon Rimedio”. Maria lo ascoltò, gli apparve e gli diede i soldi necessari per portare a compimento la missione del riscatto.
Anche per questo avvenimento, come per quello della sua visione durante la prima messa, S. Giovanni ci volle lasciare una testimonianza storica: fece scolpire una statua di legno raffigurante Maria con in braccio Gesù Bambino, hanno entrambi in mano un borsello colmo di monete. La statua è stata conservata per secoli a Marsiglia nella casa dell’Ordine. Agli inizi di questo secolo P. Saverio dell’Immacolata Concezione, Ministro Generale dell’Ordine, ne fece riprodurre una copia che si trova, quasi abbandonata, in un buio corridoio della casa di S. Crisogono.

Marsiglia (casa della santa Trinità di).

       Fu fondata da S. Giovanni de Matha nel 1199. Giacomo de Vitry, nella sua Storia Orientale ed Occidentale, del 1230-1240, la definisce casa principale di tutto l’Ordine. Questo suo giudizio è errato sotto l’aspetto giuridico (il titolo allora spettava alla casa di Cervofreddo), ma non sotto l’aspetto pratico e funzionale. L’Ordine era sorto per la redenzione degli schiavi, detenuti principalmente sulle coste nordafricane, per raggiungere le quali il mezzo più veloce e sicuro era l’imbarcazione. Per questo motivo fu voluta e fondata da S. Giovanni, che ne fu Ministro fino a quando non si recò a Roma, in S. Tommaso in Formis. A lui, per qualche anno succedette S. Felice di Valois, per l’importanza e la delicatezza richieste dalla gestione di questa casa; che era il principale centro d’accoglienza degli schiavi riscattati.

Ministro (prelato, procuratore). 

     Gesù nel Vangelo ammonisce che chi vuole essere il primo nella sua Chiesa deve mettersi al servizio dei fratelli. S. Giovanni de Matha, quando fa l’organigramma delle case della santa Trinità, stabilisce che colui che le presiede sia essenzialmente un “ministro”. Il termine deriva dalla lingua latina e vuole dire “servitore”, e come tale deve comportarsi: deve provvedere (in questo è procuratore) fedelmente ai frati come a se stesso (cap. 5); deve essere eletto per comune delibera dei frati (cap. 27), i quali gli devono obbedienza (cap. 1) (in questo è prelato), e deve osservare i precetti della Regola come gli altri frati (cap. 27).

Mosaico (di S. Tommaso in Formis). 

     È posto sul frontale del portale dei ruderi dell’ex casa dei Trinitari di S. Tommaso in Formis, in Roma sul monte Celio, ed è tuttora visibile, e ben conservato.  È di forma circolare ed è opera del maestro Jacopo dei Cosmati e di suo figlio Cosma. L’effigie è da far risalire agli anni 1209-1210 e raffigura Cristo che cinge i polsi di due uomini, uno moro e l’altro bianco, che hanno le caviglie incatenate. La stessa raffigurazione, di quella che è scaturita dalle testimonianze storiche dell’autore del Racconto e di Tommaso d’Eccleston.
Quasi a far da cornice all’effigie, c’è la scritta in latino: “Signum Ordinis Sanctae Trinitatis et Captivorum” (Segno, o stemma, dell’Ordine della Santa Trinità e degli schiavi).
In quell’epoca fra Giovanni era ancora vivente, e dimorava in quella casa dove si spegnerà il 17 dicembre del 1213. C’è da supporre, quindi, che se l’opera non fu commissionata da lui, egli dovette dare almeno il suo consenso.
Un’analoga raffigurazione (in cui il termine “signum” è sostituito da “sigillum”, e vi mancano la congiunzione “et” nella scritta del bordo ed altri piccoli particolari dell’immagine dovuti, probabilmente, alla ristrettezza del campo), fra Giovanni la fece incidere sul sigillo dell’Ordine. Detto sigillo è impresso sul protocollo della convenzione stipulata nel 1203 da fra Giovanni con il vescovo di Marsiglia ed il capitolo della chiesa della Beata Maria della medesima città. Il sigillo è minuziosamente descritto in un atto del 1270 del notaio Giovanni De Portalis.

Nome (nel).

      Questo termine, nel linguaggio biblico, non indica un dato anagrafico, ma riguarda la persona intrinseca alla quale si fa riferimento quando si agisce. Cristo, che si definisce “la stessa cosa” con il Padre, nel nome del quale opera, dona il mandato, in nome suo, agli apostoli di predicare e di battezzare, e coloro che l’ascoltano diventano figli di Dio. S. Giovanni de Matha sancì che tutto ciò che fanno i suoi seguaci lo devono fare ad imitazione dell’amore e dell’armonia che regna nella relazione tra le tre Persone della Trinità, e a questo principio s’ispira nello stilare la Regola.

Opere di Misericordia. 

      Nel capitolo 2 della Regola S. Giovanni de Matha sancisce che con due delle parti nelle quali devono essere divisi i beni dell’Ordine, si devono sostentare i membri delle case e compiere opere di misericordia (cap. 2). In altri capitoli specifica in che cosa dovevano consistere tali opere: la cura degli infermi (cap. 16 e 36) e degli ospiti, dei poveri e dei viandanti (cap. 17), che dovevano essere accolti negli ospizi (cap. 38); oltre, beninteso, la redenzione degli schiavi.

Origine e nascita dell’Ordine (apparizione a S. Giovanni de Matha).

     Il 28 gennaio, giorno dell’ottava della festa di S. Agnese, che per questo motivo è stata proclamata patrona dell’Ordine, dell’anno 1193, a S. Giovanni de Matha, mentre celebrava la sua prima messa, apparve “Dio e la maestà di Dio, che teneva per mano uno schiavo bianco e macilento ed uno nero e deforme” (stando al Racconto Anonimo), “Cristo”, secondo il francescano Tommaso da Eccleston; Gesù, nelle vesti regali, da come si può vedere nel mosaico cosmatesco di S. Tommaso in Formis in Roma. L’avvenimento portò S. Giovanni a dare inizio all’Ordine della santa Trinità e degli schiavi. Il 28 gennaio 1193 è da considerarsi la data della fondazione dell’Ordine, sorto diretta per ispirazione divina.

Pagani (schiavi).

    Il termine, che deriva da “pagus”, nella cultura latina indicava etimologicamente gli abitanti della campagna, ed era alternativo al vocabolo “cittadini”, ma non era solo questa l’unica ragione che li rendeva alternativi, i primi erano sinonimi d’ignoranza ed i secondi di cultura. Con l’avvento del Cristianesimo, i pagani erano coloro che credevano nei falsi dei. Nella Regola Trinitaria questo termine, con la sua accezione, è usato nel capitolo 2 per indicare gli schiavi non cristiani, senza, tuttavia, significare esclusività. S. Giovanni de Matha era cristiano, e viveva in un’epoca in cui il mondo era diviso essenzialmente in due blocchi: il cristiano ed il musulmano, che con le loro guerre procuravano la schiavitù in entrambi gli schieramenti, era logico quindi che egli pensasse in primo luogo a riscattare i suoi correligionari; ma non escluse di riscattare i pagani, anzi stabilì che la loro redenzione fosse fatta “con retta intenzione”, sia pure per operare la commutazione tra schiavi pagani e cristiani. S. Giovanni era anche un uomo di cultura, e sapeva che la società ricorre sempre alla guerra per risolvere i problemi; con grande apertura mentale capì che, nei secoli avvenire com’era già successo nel passato, ci sarebbero stati nuovi conflitti tra il cristianesimo ed altre ideologie, che avrebbero procurato schiavitù, per questo non contrappose al termine “cristiani” il vocabolo “musulmani”, ma preferì “pagani” per indicare i “non cristiani”. Nel corso dei secoli i Trinitari, specialmente quelli che operarono nei Paesi dell’Europa Orientale, riscatteranno anche schiavi d’altre fedi religiose.

Racconto Anonimo (o in prosa), 

   della I metà del XIII secolo (Biblioteca Nazionale di Parigi, Codice ms. lat. 9753, fol. 10 V°, copia inizio secolo XV).
Lo scrittore del Duecento, un anonimo religioso trinitario, con questo breve brano, dallo stile scarno, ci ha tramandato la vera origine dell’Ordine della SS. Trinità: la rivelazione divina; il nome del docente di teologia di S. Giovanni de Matha: Guglielmo Prevostino; la corrispondenza, andata in seguito smarrita, tra Innocenzo III ed il vescovo di Parigi e l’abate di S. Vittore, che precedette l’approvazione della Regola Trinitaria; ed il numero degli eremiti presenti a Cervofreddo quando vi giunse S. Giovanni. Egli non ha pretese prettamente storiche; non si affanna, infatti, a cercare testimonianze o a citare documenti. Quel che narra, per lui è tutto chiaro e normale; attinge a fonti sicure: coloro che hanno vissuto in prima persona quegli avvenimenti, e non teme di essere smentito. Per questo il suo racconto diventa una testimonianza storica affidabile.

Redenzione (riscatto degli schiavi).

   Il termine ha una forte valenza teologica trinitaria, che ha origine biblica: il Padre manda il Figlio sulla terra, facendo fecondare il grembo di Maria per opera dello Spirito Santo, per redimere l’uomo dalla schiavitù del peccato e dargli la dignità di figli di Dio. S. Giovanni de Matha non riscatta gli schiavi per ridare loro solo la libertà fisica, ma anche e soprattutto perché “sono imprigionati per la fede di Cristo” (cap. 2); la più grande manifestazione della dignità d’ogni uomo è l’espressione delle proprie idee e la coltivazione della propria fede; per questo, egli riscatta “con retta intenzione” (cap. 2) anche lo schiavo pagano (non cristiano) che commuta (scambia alla pari) con lo schiavo cristiano: tutti gli schiavi hanno diritto alla loro dignità di uomini liberi.

Regola (Trinitaria).

   La Regola è l’insieme di norme che governano la vita di coloro che appartengono ad un’istituzione. Essa specifica e caratterizza l’istituzione, perché contiene il fine per il quale la medesima istituzione è nata, lo scopo che si prefigge ed i mezzi per raggiungere lo scopo ed il fine. Questo termine, preso al singolare, è oggi comunemente accettato per designare gli ordinamenti che regolano la vita d’alcuni ordini religiosi; le istituzioni laiche hanno le loro regole.
La Regola trinitaria è detta PROPRIA, perché è stata scritta da S. Giovanni di Matha in collaborazione con S. Felice di Valois, anche se non sono mancati i consigli d’Innocenzo III. È stata approvata il 17 dicembre 1198 da Innocenzo III ed ha costituito il precedente per la Regola francescana, che ne ha subito anche l’influenza.
Lo scopo più pratico e tangibile della Regola trinitaria è la carità, ossia le opere di misericordia. I trinitari devono mettere i due terzi dei propri beni al servizio di coloro che versano in condizioni disperate e che quindi sono in pericolo di perdere la fede e, di conseguenza, la dignità.

S. Felice di Valois (confondatore dell’Ordine).
   Nacque, presumibilmente, nel 1150 (alcuni storici sono propensi ad indicare l’anno di nascita intorno al 1120) in qualche castello della piana del Valois, a nord di Parigi. Al fonte battesimale fu chiamato Ugo. Non abbiamo altre notizie storiche certe della sua adolescenza e della giovinezza. La sua figura appare all’improvviso nella località di Cervofreddo, nel nord della Francia. Vi si recò S. Giovanni de Matha, consigliato da eminenti persone del clero e della cultura parigine, dopo la sua visione divina che gli ispirò la fondazione dell’Ordine della santa Trinità e del riscatto degli schiavi.
Con ogni probabilità S. Felice partecipò alla terza crociata (1189-1191) al seguito di Filippo Augusto. La tradizione dice anche che Felice, disgustato da come i nobili interpretavano la vita e la lotta per liberare il Santo Sepolcro, si ritirò insieme a tre persone nell’eremo di Cervofreddo, dopo aver rinunciato agli onori ed ai privilegi del suo rango, ed aver cambiato il nome. Nel suo eremo andò a cercarlo Giovanni de Matha. Lì, insieme, scrissero la Regola dell’Ordine della santa Trinità e degli schiavi.              Dopo aver diretto, come Ministro, succedendo a S. Giovanni de Matha, per alcuni anni la casa di Marsiglia, S Felice fece ritorno a Cervofreddo dove mori e fu sepolto nel 1212.

 

S. Giovanni Battista della Concezione (riformatore dell’Ordine).

    È stato l’uomo che la Provvidenza ha scelto per riportare, riformandolo, l’Ordine della SS. Trinità allo spirito originario di povertà e di carità, voluto dai suoi fondatori. S. Giovanni Battista della Concezione. nacque il 10 luglio 1561 ad Almadovar del Campo, nella diocesi di Toledo in Castiglia (Spagna). Compì gli studi umanistici nelle scuole del paese natio, e quelli filosofici nel convento dei padri Carmelitani scalzi. Qui ebbe occasione di conoscere S. Teresa d’Avila, riformatrice del Carmelo. Iniziò gli studi di teologia a Baez e li proseguì a Toledo, dove conobbe i Trinitari. Il 28 giugno 1580, chiese ed ottenne di indossare l’abito dei frati di S. Giovanni de Matha. Nel 1585 terminò gli studi e, dopo l’ordinazione, intraprese la sua attività sacerdotale. Era da poco (1568) terminato il Concilio di Trento, che suscitò, in tutti gli Ordini religiosi, il bisogno di maggiore austerità ed il richiamo alle loro origini. L’8 maggio 1596 fu eletto Ministro della casa di Valdepegnas, fatta costruire dal Marchese di Santa Croce per introdurre la riforma nell’Ordine Trinitario. Il 20 agosto del 1599 ricevette dal pontefice Clemente VIII il Breve d’approvazione della Riforma. Nel 1590 si adoperò a curare gli appestati nella Città de los Arcos, e qualche anno dopo si recò, insieme a P. Giovanni Palacios, in Africa per riscattare gli schiavi portoghesi, caduti in mano ai Mori in seguito alla disfatta del loro esercito comandato dal re Sebastiano.
S. Giovanni Battista della Concezione mori il 14 febbraio 1613, fu proclamato beato da papa Pio VII il 26 settembre 1819 e canonizzato da papa Paolo VI nel 1975.

 

S. Giovanni de Matha (fondatore dell’Ordine).

    S. Giovanni de Matha nacque il 1154 a Faucon in Provenza da Eufemio e da Marta di Fenouillet. Non si hanno notizie della sua infanzia e della sua adolescenza, e se ne hanno poche circa la giovinezza. Gli storici lo descrivono come un uomo dall’animo travagliato a causa dell’impostazione da dare alla sua vita. In attesa di trovare delle risposte chiare ai suoi interrogativi, si dedicò con profitto, sotto la guida di uno dei più dotti uomini del suo tempo, Guglielmo Prevostino da Cremona, allo studio della teologia a Parigi. Il suo impegno lo portò a diventare docente nella medesima università. Gli storici, suoi contemporanei lo definirono: “Maestro di teologia”, “Maestro provenzale” e “Maestro di Francia. Sappiamo anche che era spesso deriso dai suoi compagni d’università a motivo della fede e per l’assiduità alle pratiche religiose.
Il 28 gennaio del 1193, mentre celebrava la sua prima messa, gli apparve Cristo che teneva per mano due schiavi: uno bianco e l’altro moro.
Consigliato, in seguito alla visione, dall’abbate del monastero di san Vittore in Parigi e dal vescovo della medesima città, si recò a Cervofreddo, una località a circa ottanta Km dalla capitale francese, dove viveva S. Felice di Valois, in compagnia d’altri tre eremiti. In quella località fu scritta la Regola dell’Ordine della santa Trinità e degli schiavi.
Sappiamo, da documenti che risalgono al suo tempo, che S. Giovanni aprì e gestì personalmente o tramite i suoi frati degli ospedali. Non ci sono, invece, pervenuti documenti storici che comprovano la partecipazione diretta di S. Giovanni a qualche redenzione di schiavi. Abbiamo, però, la lettera scritta l’8 marzo 1199 con cui Innocenzo III presenta a Miramolino, re del Marocco, i primi redentori di schiavi nella quale il pontefice scrive che alcuni uomini, del numero dei quali facevano parte i latori della lettera, avevano fondato l’Ordine per il riscatto degli schiavi. S. Giovanni è morto in S. Tommaso in Formis, Roma, il 17 dicembre 1213.

 

S. Tommaso in Formis (casa della santa Trinità di, chiesa di, epitaffio di).
 Casa.

    Era situata in un plesso ricavato sui resti dell’antico acquedotto romano di Clodio sul Celio. Comprendeva la casa dei religiosi, l’ospedale e la chiesa, da cui prende il nome. È stata donata da Innocenzo III nel 1208, non sappiamo se spontaneamente o dietro richiesta di S. Giovanni de Matha. Questi, sin dall’inizio della sua istituzione, chiese ed ottenne la protezione del Sommo Pontefice per l’Ordine, ed i suoi beni, come risulta dalla bolla del 16 maggio 1198 e da altre successive. S. Giovanni era a conoscenza che sarebbe diventato un personaggio scomodo. Il suo Ordine avrebbe scombussolato l’ordinamento clericale preesistente, con l’introduzione del doppio sistema di vita: mistico ed attivo insieme; ed avrebbe dato fastidio, interessandosi concretamente alla schiavitù ed alla povertà, al sistema economico del suo tempo. La manodopera basata sulla schiavitù e sulla servitù è sempre più economicamente vantaggiosa. S. Giovanni fu il primo Ministro della casa, e qui morì il 17 dicembre 1213. I Trinitari lasciarono definitivamente S. Tommaso in Formis tra il 1378 ed il 1382, e passò al Capitolo dei canonici di S. Pietro.

 

Chiese.

   Nel complesso della casa trinitaria del Celio, oltre alla chiesa che le ha dato il nome, ce n’era un’altra. Fra Giacomo Bourgeois, parlando dell’epitaffio sulla tomba di S. Giovanni, afferma che nell’ambito della casa trinitaria del Celio c’erano due chiese: una piccola, dove c’era il sepolcro, ed una grande “completamente scoperchiata e semidistrutta”.
La conferma delle due chiese ci viene dalla Bolla del 25 febbraio 1217, che Onorio III inviò a Giovanni l’Inglese, successore di S. Giovanni de Matha; in essa il papa cita le “chiese di S. Tommaso e di S. Michele in Formis”.
P. Giulio Cipollone, gran ricercatore storico dei giorni nostri, anche se sempre restio ad accettare, come autentici, avvenimenti o tesi storiche non scientificamente documentate, non se la sente, nel suo libro sul mosaico di S. Tommaso, di escludere la possibilità delle due chiese. 

 

Epitaffio.

    Nella chiesa di S. Tommaso in Formis fu sepolto il 21 dicembre 1213 S. Giovanni de Matha. Sulla sua tomba fu posto un epitaffio, che tradotto, cita così: “L’anno 1197 dell’Incarnazione del Signore e primo del pontificato di Papa Innocenzo III, il 18 gennaio, per rivelazione divina, fu istituito l’Ordine della Santissima Trinità e degli schiavi da fra Giovanni, con propria Regola concessa a lui dalla Sede Apostolica. Detto frate è stato sepolto in questo luogo il giorno 21 dicembre del 1213”. Come si può notare, l’epitaffio contiene alcuni errori, il che fa pensare che fu scritto non immediatamente dopo la morte del santo, ma qualche decennio dopo, non prima del 1260; a parte ciò, in esso c’è la conferma esplicita che la Regola Trinitaria era propria dell’Ordine oltre che all’affermazione dell’origine divina dell’Ordine. La lastra marmorea sulla quale era scritto l’epitaffio fu trafugata nel XVII secolo da due fratelli laici trinitari, insieme ai resti mortali di S. Giovanni, e portata in Spagna; ora è esposta nel museo archeologico di Madrid. Attualmente nella chiesa, al medesimo posto della scritta originale, ve n’è una postuma corretta dai vari errori.

 

S. Vittore (abbazia di).

    Una delle più note di Parigi al tempo di S. Giovanni de Matha, che con ogni probabilità vi soggiornò a lungo; comunque sia, S. Giovanni era conosciuto dall’abete, il quale scrisse, insieme al vescovo di Parigi, la lettera di presentazione di S. Giovanni ad Innocenzo III, e n’ebbe risposta. La permanenza di S. Giovanni nell’abbazia è confermata dalla conoscenza che egli aveva della Regola che vi si viveva: negli ultimi due capitoli della Regola, egli fa riferimento ad essa. Nel 39 sancisce che i frati del suo Ordine, nelle ore canoniche, devono osservare “la consuetudine del beato Vittore”, e “similmente nella rasatura i chierici seguano l’Ordine di San Vittore” (cap. 40). È da fare notare che a quell’epoca la Regola monastica più conosciuta e seguita era quella di S. Agostino, alla quale dovranno fare riferimento i Predicatori, o Domenicani, a causa della proibizione del Concilio Lateranense IV (1215) di creare nuove Regole religiose.

 

Schiavi (captivi). 

   La schiavitù alla quale s’interessò S. Giovanni de Matha non era la schiavitù generica o, se vogliamo, economica, che riguardava coloro che erano costretti a vendere se stessi, o i propri, ai creditori, perché non potevano assolvere ai loro debiti; ma una schiavitù ben specifica: quella causata dalle guerre ideologiche e religiose; nel suo caso, dalle crociate o dalle scorribande che i cristiani ed i musulmani compivano sulle coste avversarie. Le cause principali, di quella schiavitù, erano l’odio e l’avversione, il movente era l’arroganza d’essere gli unici depositari della verità, e le conseguenze erano il maltrattamento, fisico e morale, e l’umiliazione dell’avversario. Lo sfruttamento economico, quasi sempre, presente anche in questa forma di schiavitù, era una conseguenza di secondo ordine; a chi abiurava la sua fede era risparmiato. Ai giorni nostri, anche se la schiavitù è stata abolita ufficialmente da un secolo, n’esistono alcune forme ufficiose o mascherate. Le più crudeli sono la prostituzione, specialmente quella minorile, e lo sfruttamento economico, anche in questo caso specialmente quella minorile. La causa principale è da cercarsi, ancora una volta, in uno stato d’animo di chi le perpetra; nel Medio Evo erano l’odio e l’avversione, nell’Era Contemporanea l’egoismo, sia sociale sia individuale. L’uomo moderno, che nutre la mente ed il cuore di liberismo e di consumismo, pensa che al centro dell’universo esista solo lui; gli altri sono solo mezzi per soddisfare le sue brame; il movente è la Globalizzazione economica: il reddito da capitale e da lavoro è l’unica legge che governa il mondo, e chi se lo procura in maniera più cospicua s’arroga il diritto di sfruttare il corpo e la mente degli altri; le conseguenze sono la perdita dei valori e della dignità umana, annegata in un mare di lacrime e di sofferenze individuali e sociali.

 

Sequenza (o Racconto in Versi).

    La Sequenza ha avuto una notevole importanza nella storia dell’Ordine. Essa è l’anello di congiunzione tra gli scrittori del XIII secolo e quelli che, a partire dal XV, s’interessarono alle sue origini. La narrazione in versi influenzò quegli scrittori in modo decisivo e sopperì alla mancanza di fonti storiche attendibili del XIV secolo. La Sequenza non è tenuta in gran considerazione dagli storici moderni. Il motivo sarebbe che essa non si può fare risalire agli albori dell’Ordine, perché se ne conserva solo una copia del 1444; e a tale data si fa risalire la sua stesura.
P. Ignazio Marchionni ritenne che fu scritta intorno al 1160. Egli, mentre scriveva il suo libro Note Sulla Storia Delle Origini Dell’Ordine Della SS. Trinità, formulò la sua ipotesi basandosi su due vocaboli: “Papa” e “Francia”, tipici della seconda metà del XIII secolo; solo più tardi saranno sostituiti con “Sommo Pontefice” e “Gallia”. Ad onor del vero, il vescovo di Roma è chiamato “Sommo Pontefice” ed anche “Romano Pontefice” già in documenti della prima metà del XIII secolo. P. Ignazio, per avere una conferma autorevole ed indubbia, fece pervenire una copia dattiloscritta del testo ad un esperto di letteratura latina di un ateneo romano, il quale confermò la sua tesi.
Io, leggendo vari documenti, oltre ai due vocaboli che colpirono l’attenzione di P. Marchionni, ho notato dei nomi comuni, presenti in quasi tutte le fonti storiche consultate, che, pur riguardando la medesima persona, o categoria di persone, e la stessa località, sono scritti in modo diverso in base alle determinate fasce di anni in cui furono scritti. Il primo è quello riferito allo schiavo non cristiano, presente sia nella visione di Giovanni di Matha, sia in quella attribuita ad Innocenzo III, i termini usati sono: ”Pagano, saraceno, sarraceno e moro”. Il secondo è quello riferito alla località della prima casa dell’Ordine, che è scritta nei seguenti modi: “Cervo-freddo, Cervofreddo e Cervo Freddo”. Da Giacomo de Vitry fino alla Sequenza c’è un’unità di linguaggio tutta propria che non si riscontra in nessuna altra fascia.
Gaguin, Bourgeois e Gonomio citano gli stessi nomi di luogo e di persone della Sequenza, ma il linguaggio dei tre scrittori è sostanzialmente diverso da quello dell’autore della Sequenza, se si tiene presente che Gaguin nacque nel 1433 e la data della Sequenza si vuol fare risalire al 1444, ci dovrebbe essere unità di linguaggio tra i due scrittori, ma così non è.

 

Terza parte (dei beni dell’Ordine).

    Il secondo capitolo della Regola Trinitaria ha molti elementi caratterizzanti, che la rendono unica tra tutte le altre. Il più importante è la destinazione d’un terzo di tutti i beni dell’Ordine al riscatto degli schiavi. Inserendo questo brano nella Regola, S. Giovanni de Matha volle che nel suo Ordine la povertà, comune a tutte le istituzioni ecclesiastiche, non fosse solo una virtù a carattere personale dei religiosi, ma fosse destinata all’esercizio della carità verso gli emarginati e i bisognosi, a costo anche di non accettare i proventi delle persone generose, se queste non volessero che fossero destinate al riscatto degli schiavi.

 

Trinità (santa).

   S. Giovanni de Matha, “Maestro di teologia” in un’epoca in cui era molto sentito e sviluppato il tema della Trinità, e benché volle intitolare l’Ordine alla Trinità, non inserì, nella Regola, concetti teologici altamente speculativi. Per lui la Trinità era essenzialmente unità, amore e donazione; per questo i frati della casa della santa Trinità, uniti nella persona del Ministro (servitore), devono amarsi fra di loro e riversare il loro amore donandosi ai fratelli bisognosi e riscattando gli schiavi “nel nome della santa ed individua Trinità” (prologo).

 

Vitry (Giacomo de). 

GIACOMO DI VITRY.

     Nato il 1170 e morto il 1240, nel 1229 rinunciò al vescovado d’Accon e fu nominato cardinale. Dal 1230 al 1240 scrisse Orientalis Et Occidentalis Historia. L’opera fu stampata a Douai nel 1517 dal Dubois.In essa si parla dell’Ordine della santa Trinità nel libro II, cap. 25 pp. 329-331, nell’edizione di Baldassarre Belleri. Giacomo di Vitry, che aveva capito in pieno la carità evangelica che animava i frati della casa della santa Trinità, eredi spirituali di S. Giovanni de Matha, coglie l’occasione, parlando di loro, per esternare il suo sdegno contro coloro i quali, pur chiamandosi religiosi e facendo perfino penitenza, non praticano l’amore per il prossimo. Un elogio più alto a S. Giovanni de Matha non poteva farlo. Ha messo in risalto, come meglio non poteva, la sua fede e la gran fiducia in Dio. S. Giovanni, per portare a compimento la sua opera, volle ispirarsi al Vangelo. Giacomo di Vitry, fedele e attento osservatore degli avvenimenti del suo tempo, l’aveva capito e volle rendergli testimonianza.
La notizia più importante ed originale che ci ha tramandato Giacomo de Vitry è quella relativa alla casa di Marsiglia, che egli chiama: “La residenza principale”; e sotto l’aspetto pratico e logistico dell’Ordine, la cui attività primaria era il riscatto degli schiavi, lo era effettivamente: dal porto di Marsiglia partirono, ed in esso attraccarono, le prime navi cariche di schiavi redenti.

 Francesco Citriniti